Suntan, lungometraggio del 2016 diretto dal regista Argyris Papadimitropoulos, è incentrato su Kostis, un dottore di mezza età, scapolo e senza famiglia, che si trasferisce su un’isoletta dell’Egeo a fare il medico condotto. Qui trascorre un inverno triste e solitario, ma con l’arrivo dell’estate l’isola viene invasa da giovani turistƏ in cerca di divertimento.
Rapito dall’edonismo che lo circonda, Kostis si innamora di Anna, una ragazza che ha la metà dei suoi anni ed è li in vacanza con un gruppo di suƏ amicƏ. Anna all’inizio sembra incuriosita da Kostis e questo fa si che tra i due si alimenti un meccanismo di reciproca seduzione. Per Anna, però, è evidentemente un passatempo estivo.
D’altronde Anna è fluida, curiosa, giovane, allegra. Kostis, invece, è abbruttito dalle esperienze di vita, triste, deluso, un eterosessuale maschilista. E così Kostis fraintende le intenzioni della ragazza e lasciandosi trascinare in un vortice di feste, alcol e sesso perde contatto con la realtà.
Trascura anche il proprio lavoro sull’isola, lasciando senza assistenza medica i residenti ed i turisti. Ogni giorno ed ogni notte trascorsa in questa ebrezza che si autoalimenta di illusioni e desideri contribuisce a farlo sprofondare in una cieca ossessione.
Attorno a lui gravitano personaggi discordantƏ e antagonistƏ che non fanno che aumentare la percezione di trovarsi in un contesto umano e sociale lacerato: da una parte Kostis ed i suoi coetanei isolani, tutti fondamentalmente machi e misogini; dall’altra parte Anna ed il suo “mondo nuovo”, ricco e colorato, accogliente e plurale, queer e sfuggente alle catalogazioni.
Per Kostis è un cortocircuito emotivo troppo forte e inaccettabile: inizia a perseguitare Anna, che lo respinge più volte con gentile fermezza. Ai reiterati rifiuti lui reagisce con una violenza che sgomenta e nausea. Una violenza senza giustificazioni, senza ragione, senza senso. La violenza dell’appropriazione maschile tossica.
Il film si chiude senza risposte, senza speranza. Senza lieto fine. Kostis è un mostro che ha perso ogni connotato di umanità. Questo film, che è un grido di dolore assordante contro il machismo, la violenza e la misoginia è stato scritto e diretto da un uomo, Argyris Papadimitropoulos.
Io, da uomo, dopo tre giorni dalla visione sono ancora nauseato e turbato. Eppure penso che sia un film necessario e che andrebbe visto da quanti più uomini possibile. Credo, in ultima analisi, che sia uno dei tanti spunti da cui partire per ridiscutere, ancora e ancora, questa società patriarcale e misogina.
Maurizio Mao Pisani