E se ce ne stessimo semplicemente in piedi davanti alle nostre responsabilità?
Senza accampare scuse, senza minimizzare quello che abbiamo fatto, senza deflettere la responsabilità verso qualcun altro/a?
Quante donne abbiamo maltrattato e l’abbiamo fatta franca? Quante figlie e figli abbiamo deluso e non ce ne importa niente?
Cosa si prova a starsene sulle nostre gambe e guardare dritta negli occhi una persona che ci mette davanti a questa prova dei fatti? Dolore? Vergogna? Tristezza? Amarezza? Rabbia?
È troppo forte? Fa troppo male?
Cosa significa pensare che Filippo Turetta ha ancora un vita davanti e l’onere di trovare un modo di viverla? Il desisderio molto maschile di farlo fuori ha il primo vantaggio di toglierci dall’enorme imbarazzo di pensare a questa persona, che ha fatto una cosa terribile, ha toccato l’abisso e ha pure scavato, ed ha ancora l’onere di dare un senso alla sua vita.
Neanche il coraggio di farsi fuori… quanto abbiamo sentito questa frase in queste ore, sui mezzi pubblici, in famiglia, sui social media?
Cosa significa pensare alle persone che abbiamo ferito, che abbiamo deluso, che abbiamo maltrattato, e al fatto che avevamo torto in fondo, non c’era nessuna giustificazione lì a riempire quello spazio di imbarazzo, se non la nostra cattiva coscienza, il nostro personale tornaconto e la nostra fragilità, ecco… quanto è difficile vivere con questo? Quanto sognamo di ribaltare il tavolo e tornare a vederci, a viverci come belle persone, lucenti cavalieri* senza macchia?
Filippo Turetta è un uomo come noi, un uomo che fatto cose orribili e anche noi ne abbiamo fatte, come uomini, magari non così estreme, ma ne abbiamo fatte. Non c’è modo di dare un senso alle statistiche snocciolate ancora e ancora e ancora, altrimenti. Usciamo pure dall’imbarazzo.
Lo scrittore dell’orrore Stephen King ha dichiarato più volte come il senso del suo lavoro sia aiutarci a vedere l’ombra che abbiamo dentro e il fatto che ognuno di noi ha una certa disponibilità a fare cose orribili, non perché sia stato necessariamente maltrattato da piccolo, ma perché è nella nostra natura. Possiamo vivere con questo? Possiamo lasciare che questo emerga alla luce anche nella nostra possibilità di pensare a noi stessi? E in particolare noi uomini?
Possiamo ascoltare l’attore Jack Nicholson nei panni di Jack Torrence nella celebre scena del film Shining parlare col barman immaginario che gli serve lo Scotch mentre afferma spazientito «E va bene, l’ho anche colpita una volta, e da allora mai una volta che lei non me lo ricordi!». Possiamo sentirlo dentro di noi questo personaggio, questa battuta?
Sabato 25 novembre 2023 staremo in piedi in Piazza San Carlo a Torino con una consapevolezza nel cuore, che potremmo esprimere più o meno così, parafrasando le parole del cantautore Fabrizio De André: soprattutto quando ci sentiamo assolti siamo per sempre coinvolti.
*Come ricordano molti storici, i cavalieri erano dei nobili che si guadagnavano i favori del Re in termini di terre e possedimenti praticando il mestiere della guerra. Erano la “crema” della società feudale che stava in cima alla scala sociale grazie all’uso della violenza come professione, lavoro, scopo di vita. Occhio alle parole e ai miti a cui facciamo riferimento.
Andrea Santoro